Roberta Giammara
Sono Roberta, 49 anni, nata e cresciuta a Milano e ora residente a Lodi. Sono portatrice della sindrome HBOC-BRCA e per questo motivo mi considero una delle tante sorelle gemelle di Angelina Jolie. Questa è la mia storia.
Nel gennaio 2016, a 44 anni, scopro di avere una variante patogenetica nel gene Brca2, che aumenta il rischio di tumore in diversi organi: mammella, ovaio, prostata, pancreas, pelle.
Quando il medico mi comunicò l’esito del test genetico non avevo ben chiaro ciò che mi stesse dicendo. Ero confusa e spaventata, come se mi avessero diagnosticato un tumore.
La mutazione l’ho ereditata da mio padre, purtroppo deceduto nel 2013, prima che venissimo a conoscenza della presenza in famiglia di tale sindrome genetica. Cosa che avvenne successivamente, dopo l’approfondimento di altri casi di tumore al seno e all’ovaio a due zie e ad una cugina. Io ero l’unica donna con la mutazione ad essere ancora sana.
Da quel momento la mia vita è risultata stravolta. Ho scelto di entrare in un programma di sorveglianza, per il quale venivo sottoposta a controlli serrati ogni sei mesi. Ricordo che ogni volta che entravo in quell’ambulatorio il mio sangue cominciava a gelare, uscivo sempre con le lacrime e più confusa di come ero entrata. Cercavo poi dentro di me la risposta su come dovevo affrontare quel percorso per arrivare al mio traguardo. Ogni volta che ero a colloquio con i medici mi veniva reso evidente il rischio che stavo correndo e suggerito di mettermi in sicurezza. Ma io non mi decidevo, fino a quando i fatti decisero per me.
A gennaio 2018 nel giro di pochi mesi i marker tumorali si innalzano per la presenza di alcune cisti ovariche. Il mio ginecologo, che mi segue fin da quando ero una ragazza, insiste dicendomi che il tumore ovarico è silente, aggressivo e spesso mortale. Così ho dovuto accettare di rinunciare alle mie tube e alle mie ovaie. La sensazione di lutto che provavo non era per la ricerca di un figlio, che miracolosamente mi era già stato donato qualche anno prima. Mi facevano paura gli effetti della menopausa precoce sul mio corpo e anche sulla mia mente. Come lenire il dolore e superare questo trauma? Ancora con i cerotti sulla pelle, a distanza di pochi mesi sono tornata in palestra, cercando di recuperare la mia vita normale nel lavoro e nell’attività fisica. Ma non ero più la Roberta di prima, ero una donna diversa e a fatica accettavo questo cambiamento.
A maggio 2018 mi si presenta l’opportunità di entrare nel team delle Pink Runner di Milano, del progetto Pink is Good della Fondazione Umberto Veronesi. La corsa per me non era una disciplina nuova, ma non avevo mai affrontato la sfida di correre una mezza maratona. Ho così potuto portare la mia testimonianza, diventando “ambasciatrice” per la cura e la prevenzione dei tumori femminili e offrendo il mio sostegno alla ricerca, che è poi quella che alla fine ci salva tutti.
Questa esperienza per me è stata straordinaria, facendomi vivere emozioni che non immaginavo. Ho incontrato tante amiche e amici, che mi hanno donato affetto e stima per il messaggio che portavo. Con una sfaccettatura, però, non proprio positiva perché non tutti hanno compreso a fondo il mio caso, hanno capito il sacrificio a cui mi sono sottoposta, privandomi dei miei organi riproduttivi da sana e andando incontro alla menopausa anticipata. Mi sono anche sentita dire, con scarsa sensibilità, che io non potevo capire, non essendo malata, cosa significasse fare una chemio o una radioterapia. E’ vero, ma proprio per questo io mi inchino alle mie compagne che hanno incontrato il tumore per il calvario che hanno vissuto e soprattutto provo tristezza per quelle che non ce l’hanno fatta. Ma anche nel mio caso non è stato facile accettare di entrare in sala operatoria e di farsi mutilare. Non è stato semplice affrontare ignara una menopausa anticipata, senza sapere come il mio corpo e la mia mente avrebbero affrontato questo radicale cambiamento.
Ma la storia non finisce qui… La sorveglianza continua!
C’era rimasto il mio seno, complesso, con presenza di vari fibroadenomi e noduli. Ero stata sottoposta nei mesi precedenti, durante un controllo di routine, ad una biopsia. Grazie al cielo con esito favorevole. Ma nei mesi successivi si presentano delle micro-calcificazioni e riparte l’iter di approfondimenti, consulti e conseguente stress. Finché mi decido e faccio una visita dal chirurgo plastico, chiedendo un parere. Ovviamente, data la mia condizione genetica, ho tutti i requisiti per essere sottoposta ad una mastectomia profilattica di riduzione del rischio. Ma non ero ancora pronta per affrontare nel giro di un anno una sfida così importante e radicale come questa: perdere anche il mio seno e rassegnarmi ad inserire due protesi.
Ma nel mio cammino ho incontrato un’equipe straordinaria: una senologa e un chirurgo plastico che hanno saputo spronarmi, facendomi capire che il mio seno era davvero complicato e che non sarebbe stato semplice intercettare per tempo un possibile tumore. Insomma, mi avrebbe dato seri e gravi problemi nel tempo. Le stesse cose che mi aveva detto in passato il mio ginecologo. Così arriva la fatidica data dell’intervento di mastectomia bilaterale profilattica, il 12 aprile 2019. Non sapevo come sarebbe stato il risultato finale, anche se mi ero affidata a validi professionisti.
I mesi successivi, dopo i due interventi, non sono stati semplici nel ritrovare l’equilibrio. Nonostante avessi la mia famiglia vicina e presente. Ma la verità è che non accettavo le mie due perdite. Non mi riconoscevo più e come donna pensavo di aver perso la mia femminilità. Mi sentivo inadeguata nella mia vita di relazione con mio marito. Vedevo la vita come una sconfitta. “Perché proprio a me?” mi chiedevo. Da sola non ce la facevo e allora ho chiesto aiuto ad una psicologa che mi aprisse la mente per trovare la motivazione e la consapevolezza delle mie scelte.
Oggi, finalmente, ho riacquisito la serenità e non sento più quella spada di Damocle sulla mia testa. Certamente è dura vivere la perdita, la sofferenza, le ferite. Il dolore senza senso ci distrugge, ma quello a cui riusciamo a dare un significato si trasforma in forza e ogni cicatrice volge in positivo, creando una sorta di rinascita. Così ho ritrovato la mia femminilità e mi voglio ancora più bene di prima. Continuo a fare con entusiasmo e soddisfazione attività fisica, la mia prima terapia. La vita è un dono prezioso e bisogna difenderla.
La vita ha voluto darmi la possibilità di salvarmi; benché in modo non semplice, ho colto il messaggio. Ho scavato a fondo dentro di me, trasformando la rabbia in forza, la forza in passione, la passione in amore. Per tornare a vivere più forte di prima. C’è voluta pazienza per voltare pagina e far recuperare il mio corpo. Ma prendendomi tutto il tempo necessario per scrivere un nuovo capitolo della mia vita. Sicuramente più bello di prima. Sono convinta che in ogni istante della nostra vita abbiamo tutti la possibilità di cambiare il nostro destino. Per me è stato così. Oggi continuo a correre per un futuro in rosa e per donare una nuova alba alla ricerca.